sabato 1 ottobre 2022

Faces 5/5


faces



Regione della separazione:

 Quel lampione

anima di schizofrenico

che è un guscio di luce

ed uno stelo di ghiaccio

sono io che mi scoloro

pezzo lacero di carne e cervello

e divenuto acqua e buio.

Quel lampione.

Il mio lampione. 

L’azione si svolge ora nella prima balconata ed ha come fulcro due palchi contrapposti. La difficoltà con cui un gruppo di attori deve cercare di raggiungere l’altro nascono dietro un telo in modo da superare la forzata separazione, è il motivo ispiratore dei gesti.

Ad un tratto per l’eccessiva vicinanza di un attore (un mendicante dal cuore d’oro) le mani dell’attrice nascosta dietro il telo (una nevropatica) l’afferrano e la trascinano dentro il palco dove ha inizio un delicato incontro d’amore, di cui gli spettatori potranno vedere solo le ombre proiettate dietro il telo.

Ogni sera, quando accendo la luce,

fuori dalla finestra vedo la stanza di un altro

con gli stessi mobili

con le stesse parole

con lo stesso volto.

Solo il corpo rimane al di qua,

e diversa è l’attesa.

Ogni notte, quando spengo la luce,

sono sicuro che qualcuno entrerà

nella stanza dell’altro

e certo per fare l’amore.

Allora mi stringo la testa tra le mani

per non sentirli. 

Regione dei morti:

Non temete, il vostro giorno è sicuro,

perché le mani dei morti, non viste,

non si sono stancate di reggere il cielo pesante

e voi potete credere ancora che il cielo si regga

sulle vostre preghiere,

e su uno sguardo di donna,

che si alza più sottile di una colonna di fumo.

 

Non temete, voi troverete la strada anche se è tardi

anche se in casa hanno spento la luce,

perché i passi dei morti, non visti,

percorrono sempre i sentieri

che l’uomo dimentica,

affinché l’erba non li ricopra.

Non temete, la vostra sete avrà fine,

perché la notte quest’acqua non ghiaccia

finché la guardano gli occhi dei morti non visti.

L’azione si svolge adesso nel loggione dove la ritmica successione delle porte che dal corridoio danno accesso al loggione ricordano idealmente la squallida sequenza dei loculi delle colombaie. In questo intrico di entrate ed uscite compaiono gli attori. Solo la luce tremula delle candele.

 Io ti invidio pietra di riva

che ad ogni onda ti fai più leggera,

perché ogni onda ti scioglie un ricordo

di quando eri pietra davvero,

eri dura, tagliente,

mentre ora non sai più nemmeno ferire.

Così fosse la morte per noi,

come un’ultima onda

che ci coglie quando siamo leggeri

e scioglie l’estrema memoria. 

Mezzosangue, biondona e biondina continuano il loro slalom tra le porte. Un telo serve a rendere più difficile il loro stacco dagli stipiti.

 Noi morti per non finire

nascondiamo nei vostri occhi uno sguardo segreto,

che a palpebre chiuse,

vi mostra lontani trapassi di luce.   

E su queste mani, il nostro tatto

diventa pelle sottile,

che persino il velluto ferisce.

Il vetro opaco di sguardi

e sul letto disfatto

qualcuno ha lasciato vuoto il guscio del sonno.

 Anche il sogno è l’abito smesso

dove senti l’odore dell’altro.

Quell’ombra è rimasta sul muro

come fumo d’inverni appeso a pareti crollate.

E la stanza deserta

non ha più spazio neppure per le parole.

Questo giorno davvero ce lo vivono gli altri:

ma ti tieni attaccato al domani

l’oscura speranza che forse,

lascerai questa vita ad un altro

ancor più logora e vuota;

radice segreta

che ormai tocca la pietra nel fondo. 

Solo l’eco di un canto funebre riempie adesso l’aria.

 Il suonatore di corno

ventre obeso di paranoia

spruzza saliva e bava nell’ottone

per vomitare il lugubre allarme.

 Magro sull’omero un bozzagro

gli rosicchia le falangi informi e becca

goloso di sangue

i ventricoli del cuore

finché l’ottava che scema

lancia laceri schizzi di suoni disarticolati

calanti fino all’unisono

nel sacco d’aria forato che si sgonfia.

Chiara s’intende adesso la logica del suono:

la morte si scorda solo di chi ha come rifugio

una lapide di marmo.

 

Solari regioni diffuse.

Io desidero una sponda senza mare

e un mare senza rive, quando la marea trabocca

nel vuoto.

Marea impotente ed abitudinaria,

che torni per distruggere ogni giorno

ed una linea d’erba e di catrame basta a fermarti,

tu che insegni la speranza e la dispersione

e guardi al sale dell’ultima tempesta

come noi alla pietra del ricordo; marea impotente ed abitudinaria

che costruisci nel tempo un altro tempo,

insegnaci almeno - se altro non puoi –

la rabbiosa pazienza della corrosione.

Il gruppo resta attonito. Qualcuno di loro scopre allora un telone piegato sul fondo e lo trascina al centro della sala. Forse la paura, forse il tentativo di mascherare meglio i propri segreti, ecco che tutti all’improvviso decidono di nascondersi sotto di esso. Si scopre allora che esso è forato.

L’ultima residua speranza di nascondere lì sotto i propri segreti si sperde definitivamente.

Man mano dai fori spuntano teste e braccia. Qualcuno vorrebbe scappar via da questa grande camicia di forza collettiva in cui si è trasformato quello che doveva essere il loro rifugio.

Ma impedito come è dagli altri, finisce per dar vita ad una pantomima stereotipata e meccanica.

Pian piano però i più scalmanati si calmano e tutti insieme cominciano a coordinare i loro movimenti. Appare allora il tutto come un grande albero con i frutti appesi ai rami oscillanti al vento.

Regione del segreto

Incitati dal presentatore e dall’entreneuse tutti cominciano coralmente ad esprimere il loro nuovo stato.

Il noce dell’orto dopo la pioggia:

migliaia di occhi.

Non so più dove nascondere i miei segreti. 

 La ferita del loro stupore è dunque aperta sotto gli occhi del pubblico. Sul fondo sopra una quinta del palco gocciola e cola sangue. La sua vista li sconvolge: lo additano esterrefatti.

Non c’è più neppure la possibilità di nascondere i propri dolori.

 Il mio segreto è la ferita nascosta

che in bocca mi da il sapore del sangue.

Ma quel sapore e quella ferita

tu potresti sentirli soltanto se mi baciassi.   

 La loro vita è dunque solo un telo sottile sporco di sangue. Controluce si scopre in basso un piccolo strappo. Da esso la luce filtra e disegna una piccola falce di luna. Poter lacerare, afferrando i lembi di quello strappo, tutto quanto per scoprire finalmente quale guasto si nasconde sotto!

 Quando il cielo ti sembrerà più buio, la notte,

e non vedi una piega né un appiglio,

guarda in un angolo in basso;

vedrai lo strappo di una piccola unghiata di luna.

Prendi quel lembo tra le due dita.     

Tutto il drappo lacera all’improvviso:

ancor più buio, nemmeno le stelle.

Il drappo si lacera ormai. Sotto di esso, che vola lacerato nell’aria restano solo i corpi nudi che scappano vergognosamente per nascondersi. Ma un vento ormai scuote tutto intorno e spazza il polistirolo dal sacco. Cala la notte e si riempie di lampi; allo loro luce si vedono i corpi nudi erranti in preda al delirio che agitano gli arti in un pantomima impotente.

Date vento alla terra,

perché abbandoni quest’orbita stanca

che a malapena la regge.

Date vento alla terra

perché gli uomini nati su un’orbita nuova

dinanzi a meridiani e telescopi

follemente orientati

si chiedono qual’era il nostro segreto.

Date vento alla terra

perché nessuno la scopra.

Per loro non c’è dunque che l’impotenza ed il silenzio. Per qualcun altro (forse il pubblico, chissà?) non tutte le speranze sono perse.

Commiato (forse un monito)

La scena torna tranquilla una musica lenta e solenne pervade l’aria.

L’entreneuse e il presentatore sfilano tra di loro verso il sacco del palco e li conducono dentro verso la loro tomba, dove qui giunti si seppelliscono.

A voi non lasceremo né il sole né la notte,

questo li potrete trovare o perdere

anche da voi se lo vorrete.

Noi vi lasciamo solo un silenzio grande,

perché più nuova e forte sia la vostra voce.

Ricordate anche ciò che noi dimentichiamo

perché eterna diviene ogni parola

se una volta soltanto la puoi dire.

Ricordate anche ciò che noi dimentichiamo

quando sulla parole sentirete il sale della nostre bocche.

Noi vi lasciamo solo una silenzio grande

come di un mondo che non abbia inventato la parola

come di un mondo che forse la già dimenticata.

Ricordate anche ciò che noi dimentichiamo.

 

2 IL MIO TEATRO

 

Il mio teatro raccoglie in maniera sistematica i testi teatrali scritti per il gruppo teatrale savonese Atelier Duetiesse e pubblicati sul blog “Homo ludens” (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/

Faces 4


faces

faces

La notte dell’uomo che ama
si regge su tele di ragno
e il respiro della sua donna
impone un tempo indicibile
alla grande meridiana lunare.
Nessuno ricorda le loro parole
ma la terra dopo di loro non è più la stessa.
Ogni acqua che chiuse al fondo quegli occhi,
al passo degli altri diventa subito cupa.
Di notte, la donna è un golfo smemorato di navi
che l’uomo ritrova.
Se guardano a terra, il cielo non regge più ali
ma se lasciano un fuoco di sterpi,
si alza nel fumo un sogno di cenere
che vuole fiorire.


 

2 IL MIO TEATRO

 

Il mio teatro raccoglie in maniera sistematica i testi teatrali scritti per il gruppo teatrale savonese Atelier Duetiesse e pubblicati sul blog “Homo ludens” (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/

Faces 3

 




Solari regioni diffuse.
Io canto la separazione.
Ma la terra dopo di loro non è più la stessa,
perché le cose che non hanno memoria
non sanno neppure l’oblio.
Nell’albergo resta la forma di un vento
che nessuno vedeva
ed isole emergono ancora da un mare scomparso.

Marea impotente ed abitudinaria,
che torni per distruggere ogni giorno
ed una linea d’erba e di catrame basta a fermarti,
tu che insegni la speranza e la dispersione
e guardi al sale dell’ultima tempesta
come noi alla pietra del ricordo;

marea impotente ed abitudinaria
che costruisci nel tempo un altro tempo,
insegnaci almeno - se altro non puoi –
la rabbiosa pazienza della corrosione.

Solari regioni diffuse,
in quei giorni il mondo doveva finire
o addormentarsi, forse.
Il sole sorge dove vuole
e ti trascina a sé con una corda tesa sul mare.

Coro primo gruppo: Ah (una nota lenta, grave, ondeggiante).
Sofisticata: Solari regioni diffuse / lontane da città soltanto pensate / quando si camminava con l’ombra alle spalle / per cancellare le impronte.
Narcisista: Un’ingenua astuzia perché non ci seguisse qualcuno.
Ad un gesto del presentatore anche il secondo gruppo si unisce al primo.
Coro primo e secondo gruppo: Ah – oh (due note).
Intellettuale: Solari regioni diffuse / lontane da città soltanto pensate / quando si camminava con l’ombra alle spalle / per cancellare le impronte.
Professore: Un’ingenua astuzia perché non ci seguisse qualcuno.
Nuovo gesto del presentatore e anche il terzo gruppo si unisce agli altri.
Coro primo, secondo e terzo gruppo: Ah – oh – ah (tre note).
Nevropatica: Solari regioni diffuse / lontane da città soltanto pensate / quando si camminava con l’ombra alle spalle / per cancellare le impronte.
Professore: Un’ingenua astuzia perché non ci seguisse qualcuno.
Ulteriore gesto del presentatore e tutti all’unisono.
Tutti: Ah – oh – ah – oh (quattro note).
Mezzosangue: Solari regioni diffuse / lontane da città soltanto pensate / quando si camminava con l’ombra alle spalle / per cancellare le impronte.
Biondona: Un’ingenua astuzia perché non ci seguisse qualcuno.
Il coro raggiunge l’apice e si blocca.
Una ouverture solenne e caricaturale spande le proprie note per l’aria.
L’entreneuse e il presentatore vanno al centro e si sfidano ad un duello oratorio.
Presentatore: Io desidero una sponda senza mare.
Entraneuse: (facendogli il verso) Io desidero una sponda senza mare.
Presentatore: (quasi a giustificarsi) Per non coglierne l’invito alla fuga.
Entraneuse: (non credendo a ciò che ha detto) Per non coglierne l’invito alla fuga?
Presentatore: O un mare senza rive / quando la marea trabocca nel vuoto.
Entraneuse: … trabocca nel vuoto!
Insieme: Isole galleggiavano libere / formando arcipelaghi nuovi ad ogni vento / giocando in un caso / che era sempre creazione.
Insieme: (rallentando notevolmente) Forse in giorni come questi il mondo era iniziato.

PRIMA AVVENTURA
Iniziano a questo punto gli itinerari che porteranno i differenti plotoni alla conquista dello spazio scenico.
L’entreneuse fa un cenno e dietro di lei si muovono nell’ordine: una biondona, il suo quarto di pubblico, un mezzosangue.
Destinazione la regione della morte dove li attende la biondina.
Il professore guida quindi il suo quarto di pubblico verso la regione della separazione, dietro a loro si accoda una nevropatica. Li attende, nascosta dal telo della ombre cinesi un mendicante.
La signora sofisticata conduce allora la sua quarta parte di pubblico verso la regione dell’anima, si accodano a lei un narcisista e un presentatore. Li attende nel grosso sacco un ragazzo senza dita.
Raggiunte le rispettive zone hanno inizio simultaneamente quattro recitativi differenti. Il volume sonoro di ciascuna di esse non deve essere tale da coprire o disturbare le altre, tuttavia in ogni regione proviene come un’eco assorta di quanto è detto altrove.
Anche se la recitazione è simultanea per comodità di scrittura ne daremo di seguito una rappresentazione diversificata.

Regione dell’anima:

Anche l’anima come il corpo cresceva.
Ma di quegli anni inspiegabili
non restano neppure i segni a matita
sul bianco del muro,
più sicuri dei cerchi d’un tronco.
Anche un albero e il corpo ricordano,
ma la nostra memoria,
per convincersi d’aver vissuto davvero,
ha bisogno dei segni più chiari
che ritrova un mattino,
quando ti svegli dal lato dell’ombra
e senti la vita segnata
da colpe che tu non capisci.
Si. Anche l’anima come il corpo cresceva.

Questo pezzo viene recitato come una polifonia parlata a tre voci.

Mi sono fermato alle soglie del sonno
quando il corpo oscilla nel vento.
Seguivo le vene ed i nervi per ritrovarne sicuri confini:
ma mi sento perduto.
Io sono un ragazzo che vaga per vie sconosciute
e ad ogni angolo attende, con ansia, qualcosa.
Il mio corpo è il rimorso
dei peccati che un altro ha commesso:
solo l’anima è nuova.
Qualcuno mi ha lasciato ferite che non possono guarire,
e nel sangue la rabbia d’un incontro di carni
interrotto prima che venisse il piacere.
Nelle braccia mi restano la stanchezza e il sudore
della sua fatica.
Ed il fiato è un affanno nervoso,
quasi mi fossi fermato
dopo una corsa fatta nel sonno.
Solo l’anima è nuova,
ma soffoca tra queste pareti di carne.
Urta l’anima nel corpo
come un insetto che stringo nel pugno
ma gli altri non ne sentono neppure il ronzio.


2 IL MIO TEATRO

 

Il mio teatro raccoglie in maniera sistematica i testi teatrali scritti per il gruppo teatrale savonese Atelier Duetiesse e pubblicati sul blog “Homo ludens” (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/

Faces 2

Faces


Faces
Solari regioni diffuse.
Quest’acqua era prima di noi
ma sfuggiva a tutte le labbra
perché un’altra sete doveva saziare.
Una sete che ancora con c’era, ma l’acqua sapeva.
Era l’acqua che tra le mani quando bevi ti sfugge;
era l’acqua che si fa ghiaccio ed attende,
e trova in cupe cisterne una vena segreta.
Era l’acqua che non dispera,
la prima che trabocca dal colmo.
Perché sa che una sete l’attende.
Era l’acqua che va nel profondo,
se gli altri hanno sete e diventa crudele.
Era l’acqua che se tutto si secca
si fa come pietra ed attende.



2 IL MIO TEATRO

 

Il mio teatro raccoglie in maniera sistematica i testi teatrali scritti per il gruppo teatrale savonese Atelier Duetiesse e pubblicati sul blog “Homo ludens” (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/

Faces 1

Faces


2 IL MIO TEATRO

 

Il mio teatro raccoglie in maniera sistematica i testi teatrali scritti per il gruppo teatrale savonese Atelier Duetiesse e pubblicati sul blog “Homo ludens” (https://nonmirompereitabu.blogspot.com/