"The Entertainer" è una famosa composizione musicale scritta dal compositore afroamericano Scott Joplin nel 1902. Questo brano è diventato uno dei più noti esempi di musica ragtime e ha contribuito a rendere Joplin uno dei più celebri compositori di questo genere musicale.
Il ragtime è uno stile musicale che emerse alla fine del XIX secolo, caratterizzato da ritmi sincopati e da una struttura musicale vivace e gioiosa. "The Entertainer" è una composizione per pianoforte che incarna perfettamente lo spirito e lo stile del ragtime.
La canzone è stata resa ancora più famosa dal film "The Sting" del 1973, dove è stata utilizzata come parte della colonna sonora, contribuendo così a rinnovare l'interesse per la musica di Scott Joplin e per il ragtime in generale.
"The Entertainer" è stata arrangiata e reinterpretata in molte forme diverse ed è rimasta una delle composizioni più riconoscibili e amate del repertorio pianistico classico e del ragtime. La sua vivacità, il suo ritmo coinvolgente e la sua melodia orecchiabile continuano a renderla una delle opere più celebri di Scott Joplin e un'icona della musica ragtime.
1902 - The Entertainer [di Scott Joplin] - Scott Joplin
https://youtu.be/wOXooOTe2Ho?si=4ubGn6bjLlY2BXCA
1904 - Quel mazzolin di fiori [di anonimo]
"Quel mazzolin di fiori" è una celebre canzone popolare italiana, di autore anonimo, diffusa in particolare nelle regioni del Nord Italia. Le sue origini risalgono all’ambito alpino e contadino, ed è entrata profondamente nell’immaginario collettivo come uno dei canti più rappresentativi del repertorio tradizionale italiano. La data 1904 si riferisce alle prime pubblicazioni ufficiali e diffusione su larga scala, ma la canzone è probabilmente più antica.
🎵 Testo (versione più nota):
Quel mazzolin di fiori
che vien dalla montagna,
e guarda ben che no si bagna,
che lo voglio regalar...
Lo voglio dare al mio amore,
che lo porti sul cuor...
🌼 Contesto e significato
La canzone racconta di un semplice gesto d’amore: un mazzolino di fiori raccolto in montagna, da donare alla persona amata. Dietro questa immagine bucolica si cela tutto il mondo affettivo, genuino e spontaneo della cultura contadina e montana dell’Italia preindustriale.
Il testo è spesso accompagnato da una melodia dolce e orecchiabile, e veniva cantato nei momenti di festa, nei lavori collettivi nei campi, e in particolare durante le adunate alpine e nelle scuole. Ancora oggi è molto eseguita nei cori di montagna e nei repertori folkloristici.
🏞️ Valore culturale
"Quel mazzolin di fiori" è molto più di un semplice canto d'amore: rappresenta una forma di espressione popolare, fatta di piccole immagini quotidiane e di sentimenti semplici, che nel tempo è diventata un simbolo dell’identità nazionale e del legame con la terra. Per questo motivo è entrata anche nelle raccolte di canti alpini e nelle antologie scolastiche.
1904 - Quel mazzolin di fiori [di anonimo]
https://youtu.be/5qZFelITwzY?si=dCs1i5OJaWREbSq5
1905 - Lili Kangy
"Lili Kangy" è una canzone del 1905 composta da Salvatore Gambardella (musica) su versi di Giovanni Capurro, la leggendaria penna dietro “‘O sole mio”. Questo brano, anche se meno noto rispetto ad altri capolavori della canzone napoletana, è un interessante esempio di come in quegli anni si cercasse di innovare all’interno del genere, mescolando esotismo, sentimentalismo e spirito teatrale.
🎭 Una canzone tra suggestioni esotiche e fascino popolare
Il nome "Lili Kangy" richiama un’ambientazione esotica o straniera, forse volutamente fantasiosa, per evocare mistero e fascino di terre lontane. Questa tendenza a giocare con nomi esotici o inventati era tipica della canzone napoletana dell’epoca, che spesso metteva in scena personaggi femminili idealizzati, quasi figure da operetta o da melodramma popolare.
🎶 Stile musicale e interpretazione
La musica di Gambardella è raffinata, malinconica e coinvolgente. Come altre composizioni dell’autore, si presta bene all’interpretazione da parte di tenori lirici, ma può anche assumere sfumature teatrali o "cafè-chantant", a seconda dell’arrangiamento. Le orchestrazioni originali, tipiche del primo Novecento, erano dense di sentimento e pensate per un pubblico affamato di romanticismo e sogno.
✍️ Capurro e il gusto per il racconto
Capurro in questo testo dimostra ancora una volta il suo gusto per la narrazione poetica, spesso ammantata da malinconia o nostalgia. Anche quando usa un tono apparentemente leggero, c’è sempre un fondo di malinconico struggimento, come se l’amore fosse inevitabilmente destinato a sfuggire o a ferire.
📚 Curiosità storica e diffusione
"Lili Kangy" fu eseguita durante uno dei Festival di Piedigrotta, vera e propria vetrina della canzone napoletana, e conobbe una discreta fortuna grazie alla voce di interpreti dell’epoca, anche se oggi è meno ricordata rispetto ad altri titoli celebri. La canzone rimane però un piccolo gioiello da riscoprire per gli appassionati della canzone classica napoletana e del primo Novecento musicale italiano.
1905 - Lili Kangy [di Salvatore Gambardella \ Giovanni Capurro]
https://youtu.be/y3007QXjH0w?si=npWgHe6lv3vuFCBx
1905 - Torna a Surriento
"Torna a Surriento" (1905) è uno dei vertici assoluti della canzone napoletana, un capolavoro senza tempo firmato dai fratelli Ernesto De Curtis (musica) e Giambattista De Curtis (testo). È una delle melodie italiane più celebri al mondo, incisa da centinaia di interpreti — da Caruso a Pavarotti, da Elvis Presley a Dean Martin — diventando simbolo dell’Italia poetica e struggente dell’emigrazione e dell’amore malinconico.
🎶 Un’armonia che sa di mare e nostalgia
Ernesto De Curtis compose una melodia intensa, avvolgente, che sa unire lirismo e pathos popolare. La progressione musicale è costruita come un’onda che si alza con dolcezza, culmina in un’esplosione emotiva (“Torna a Surriento...”) e poi si placa, come il mare della costiera che il testo evoca.
✍️ Una poesia in forma di canzone
Il testo di Giambattista De Curtis è un esempio perfetto della capacità della poesia napoletana di fondere amore per una persona con amore per un luogo. La bellezza di Sorrento è lo sfondo, ma anche la protagonista: il paesaggio diventa parte del sentimento, come se la luce, il mare e i profumi stessi implorassero la persona amata di tornare.
La struttura è quella classica della serenata: una voce sola che, nel silenzio della notte o davanti al mare, canta il proprio desiderio e la propria sofferenza.
📝 Contesto e curiosità
La leggenda vuole che la canzone sia stata scritta in fretta, per impressionare il presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli in visita a Sorrento nel 1902, anche se la data ufficiale di pubblicazione è il 1905. L’obiettivo era anche quello di ottenere aiuti per la cittadina, ed è curioso pensare come una delle più struggenti canzoni d’amore della storia sia nata anche come manovra diplomatica locale!
🌍 Una canzone che ha fatto il giro del mondo
"Torna a Surriento" è stata tradotta in moltissime lingue, adattata in versioni da salotto, jazz, pop e liriche. È considerata patrimonio culturale non solo napoletano, ma universale, e continua a essere cantata ovunque nel mondo vi sia nostalgia, amore perduto, o voglia di tornare a casa.
1905 - Torna a Surriento[di Ernesto De Curtis \ Giambattista De Curtis]
https://youtu.be/nJU2SsVVe0k?si=FvxcIExNrMK_58ui
1906 - Comme facette mammeta
"Comme facette mammeta" (1906), composta da Salvatore Gambardella su versi di Giuseppe Capaldo, è uno degli esempi più vivaci, maliziosi e irresistibilmente ironici della canzone napoletana classica. Allegra e seducente, è diventata nel tempo un piccolo inno alla bellezza mediterranea e all’arte del corteggiamento, con un testo che gioca tra desiderio e provocazione in punta di poesia.
🎶 Un ritmo contagioso, una melodia sbarazzina
La musica di Gambardella è costruita su un tempo vivace e danzante, che sembra quasi una tarantella rallentata, perfetta per sottolineare l’ironia seduttiva del testo. Il brio della melodia ne ha fatto un cavallo di battaglia per tenori e cantanti popolari, capace di conquistare tanto i palcoscenici lirici quanto i cuori del pubblico.
✍️ Un testo tra malizia e poesia
Il testo è un gioco arguto: il protagonista, colpito dalla bellezza di una ragazza, chiede ironicamente come abbia fatto sua madre a “fabbricarla” così bella. La domanda non è solo comica, ma anche profondamente affettuosa, tipica della cultura partenopea che mescola sensualità e rispetto, esuberanza e tenerezza.
"Comme facette mammeta,
chella faccia 'e culure,
chella vocca 'e rrose,
chella carezza accussì fine..."
Il tutto è un crescendo di meraviglia, fino alla domanda finale che è insieme una battuta e un omaggio alla femminilità.
📝 Un’icona senza tempo
Pur essendo una canzone comica, “Comme facette mammeta” ha avuto un successo duraturo: è entrata nel repertorio dei grandi interpreti della canzone napoletana, da Roberto Murolo a Renato Carosone, passando per Massimo Ranieri e Luciano Pavarotti, che ne ha dato una versione lirica e divertita.
🎭 Un ritratto della Napoli ironica e seduttiva
Questa canzone è anche un documento socioculturale: racconta una Napoli che sa prendersi gioco della vita con eleganza, che trasforma l’amore in teatro quotidiano, dove la donna è al centro della scena, adorata e celebrata in modo tutto partenopeo. Non a caso, è ancora oggi un evergreen nei concerti dedicati alla canzone napoletana e nei repertori internazionali.
1906 - Comme facette mammeta [di Salvatore Gambardella \ Giuseppe Capaldo]
https://youtu.be/_Sgjqcua8oE?si=TGgcrN_83DZTuj5O
1906 - Se otto ore vi sembran poche
"Se otto ore vi sembran poche" è un canto popolare di lotta risalente al 1906, nato nel cuore delle mobilitazioni operaie per la conquista della giornata lavorativa di otto ore. Di autore anonimo, la canzone è diventata uno dei simboli della battaglia sindacale e politica per i diritti dei lavoratori in Italia, ed è ancora oggi intonata durante cortei e manifestazioni.
🛠️ Contesto storico: la nascita di una rivendicazione epocale
All’inizio del Novecento, la giornata lavorativa media per un operaio superava le 10-12 ore. In Italia, così come in molti altri paesi europei, il movimento operaio lottava per condizioni di lavoro più umane. Il brano si inserisce in un periodo di forte fermento sindacale: nel 1906 viene fondata la Confederazione Generale del Lavoro (CGdL), primo vero sindacato italiano a organizzazione nazionale.
Il canto divenne rapidamente uno strumento di aggregazione e identità, semplice nella forma ma potentissimo nel messaggio.
🎶 Il testo: diretto, polemico e coinvolgente
Il ritornello è una domanda che è anche una provocazione:
"Se otto ore vi sembran poche
provate voi a lavorare,
e troverete la differenza
di lavorare e di comandar."
In poche parole si racchiude tutta la distanza tra chi sta “in alto” e chi fatica ogni giorno: il brano ribalta ironicamente la prospettiva del padrone, sottolineando l’ingiustizia di un sistema che non riconosceva i bisogni fondamentali del lavoratore.
✊ Un canto collettivo, una bandiera
"Se otto ore vi sembran poche" non è solo una canzone: è un manifesto in musica. Intonato nelle fabbriche, nelle piazze, nei cortei, trasmetteva forza, coesione e consapevolezza. La melodia semplice e ripetitiva ne facilitava l’apprendimento e la diffusione anche tra chi non sapeva leggere.
🧱 La conquista storica
In Italia, la giornata lavorativa di otto ore fu riconosciuta per la prima volta nel 1923, ma venne poi smantellata dal regime fascista. Solo nel secondo dopoguerra, con lo Statuto dei Lavoratori e l’articolo 36 della Costituzione, divenne diritto acquisito.
📝 Eredità e attualità
Questo canto è ancora oggi eseguito nelle manifestazioni del Primo Maggio, nelle commemorazioni sindacali e nei movimenti per i diritti dei lavoratori. Rimane una voce forte e attuale contro ogni forma di sfruttamento.
1906 - Se otto ore vi sembran poche [di anonimo]
https://youtu.be/aJjpig53yJ8?si=KZdgcDX6bSiWOBl3
1908 - Bandiera rossa
"Bandiera rossa" è uno dei più celebri e longevi inni del movimento socialista e comunista italiano. Nata nel 1908, questa canzone è divenuta l’emblema musicale della lotta proletaria, del sogno di una società più giusta e dell’ideale rivoluzionario. Con parole semplici ma vibranti, e una melodia trascinante, Bandiera rossa ha attraversato guerre, repressioni, rinascite politiche e cambiamenti sociali, mantenendo intatta la sua forza evocativa.
🔥 Origini e autore
Il testo fu scritto nel 1908 da Carlo Tuzzi, un maestro elementare socialista della provincia di Pavia. La musica si rifà inizialmente a un canto popolare lombardo, "La villanella di Monza", ma nel tempo ha subito numerose modifiche fino alla versione più nota e cantata oggi.
Pur essendo nata in Italia, Bandiera rossa ha varcato i confini nazionali, diventando un canto riconosciuto e intonato nei cortei e nei comizi della sinistra in tutto il mondo.
🎶 Il testo e il simbolismo
Il ritornello è un urlo di appartenenza e speranza:
Bandiera rossa la trionferà,
evviva il comunismo e la libertà!
Il simbolo della bandiera rossa rappresenta il sangue versato dagli operai e dai contadini nella lotta per l’emancipazione, ma anche il vessillo della solidarietà e della rivoluzione.
Il testo è modulare, spesso arricchito da varianti locali o militanti (come "Compagni avanti alla riscossa", o "Bandiera rossa, bella e vittoriosa"), che ne rendono il canto ancora più popolare e adattabile.
🧨 Impatto storico e culturale
Nel corso del Novecento, Bandiera rossa ha accompagnato:
le battaglie sindacali dei primi del Novecento,
la resistenza partigiana durante il fascismo e l’occupazione nazista,
le manifestazioni operaie del dopoguerra,
i movimenti studenteschi del ’68,
e le mobilitazioni pacifiste e antimilitariste.
La sua forza stava (e sta) nella capacità di unire diverse generazioni e ideologie della sinistra sotto un’unica immagine forte e riconoscibile.
🚩 Una canzone che divide e unisce
Nonostante la sua connotazione politica forte, Bandiera rossa è entrata nel patrimonio culturale italiano. Per alcuni è un simbolo glorioso di lotta per la libertà; per altri è legata a pagine controverse della storia. Ma il suo valore storico e musicale è innegabile: rappresenta la voce collettiva di chi, per oltre un secolo, ha cantato contro l’ingiustizia.
📜 Curiosità
È stata tradotta e cantata in molte lingue, specialmente nei paesi europei durante il Novecento.
Ne esistono versioni orchestrali, rock, punk, corali e addirittura remix elettronici.
La sua struttura musicale, molto orecchiabile e ritmata, ha contribuito alla sua diffusione anche fuori dall’ambito politico.
1908 - Bandiera rossa [di anonimo \ Carlo Tuzzi]
https://youtu.be/hAXoGxLx6yk?si=XhjqgCFKw6UocFKg
1908 - Mamma mia dammi cento lire
"Mamma mia dammi cento lire" è uno dei canti popolari italiani più noti e struggenti del Novecento, nato intorno al 1908. Di autore anonimo, questo brano è legato indissolubilmente al fenomeno dell’emigrazione italiana di massa, soprattutto verso le Americhe, ed è diventato con il tempo un simbolo della speranza, del dolore e del distacco che segnarono intere generazioni.
🌍 Contesto storico
Nei primi anni del Novecento, l’Italia affrontava una crisi sociale ed economica profonda. Milioni di italiani — specialmente dal Sud e dalle campagne — lasciavano il proprio paese per cercare fortuna in America, in Argentina, in Brasile. A spingerli erano la fame, la miseria, la mancanza di lavoro. Spesso erano giovani pieni di sogni, che salutavano per l’ultima volta la propria famiglia.
La canzone dà voce a uno di questi giovani, e alla madre che lo supplica di restare.
🎵 Il testo: un dramma in tre atti
Il canto è narrativo e teatrale, e si sviluppa come un piccolo dramma popolare. I versi più noti recitano:
Mamma mia dammi cento lire
che in America voglio andar.
Cento lire te le do
ma in America no no no!
Il figlio insiste, vuole partire. La madre, pur riluttante, cede. E poi, la tragedia:
E partì col bastimento
che l’America lo portò
e il bastimento affondò
e il figliuolo annegò.
💔 Un inno alla speranza e alla perdita
Il tema centrale è il conflitto generazionale e affettivo: il figlio spinto dalla speranza, la madre frenata dalla paura. Ma è anche il canto della distanza e della morte, una tragedia simbolica che riflette il destino di molti emigranti, che non arrivarono mai a destinazione.
📚 Valore culturale
Questa canzone ha attraversato decenni, trasmessa oralmente, reinterpretata da cantanti folk, cori popolari e persino rivisitata in chiave moderna. Il suo valore va ben oltre la musica:
È documento di una pagina di storia: il dramma dell’emigrazione.
È specchio della mentalità popolare: fede, rassegnazione, fatalismo.
È poesia orale: semplice, diretta, potente.
🎤 Esecuzioni celebri
È stata interpretata da artisti come:
Giovanna Marini
Caterina Bueno
Cori alpini e cori di emigrazione
E anche in versioni teatrali e cinematografiche
🧭 Curiosità
I "cento lire" erano una somma immensa per le famiglie contadine del tempo.
L’episodio del naufragio richiama numerose tragedie realmente accadute nei viaggi transoceanici.
Alcune versioni cambiano la fine: in alcune, il figlio arriva in America e scrive una lettera; in altre, è salvo per miracolo. Questo mostra quanto fosse sentito e flessibile il canto nella tradizione orale.
1908 - Mamma mia dammi cento lire [di anonimo]
https://youtu.be/SNNeIy8lino?si=RMD4WEis-rUo8uVs
1908 - La Società dei magnaccioni
"La società dei magnaccioni" è una celebre canzone popolare romana di autore anonimo, le cui origini risalgono ai primi del Novecento. Questo brano rappresenta un esempio emblematico della tradizione musicale romana, caratterizzato da toni scanzonati e ironici.
🎶 Origini e diffusione
Le precise origini della canzone rimangono incerte. Secondo alcune fonti, il brano sarebbe stato "riscoperto" e riproposto negli anni Sessanta da Gabriella Ferri e Luisa De Santis, contribuendo significativamente alla sua popolarità.
📝 Testo e significato
Il testo della canzone esprime lo spirito goliardico e spensierato tipico di una certa gioventù romana, con versi che celebrano la vita semplice e conviviale, spesso associata alle osterie e alla compagnia degli amici. Il ritornello, in particolare, sottolinea un atteggiamento di leggerezza verso le difficoltà quotidiane.
🎤 Interpretazioni celebri
Oltre alla versione di Gabriella Ferri, "La società dei magnaccioni" è stata interpretata da numerosi artisti, tra cui Lando Fiorini, Claudio Villa e Alvaro Amici, ciascuno dei quali ha contribuito a mantenere viva la tradizione di questo brano nel repertorio della canzone romana.
📻 Influenza culturale
La canzone è diventata un simbolo della cultura popolare romana, rappresentando l'atteggiamento spensierato e ironico tipico della città. La sua popolarità ha attraversato decenni, rendendola un classico nelle esibizioni di musica tradizionale romana.
"E verrà quel dì di lune" (Va la Rosina bella) – Una ballata popolare dal sapore antico
"E verrà quel dì di lune", conosciuta anche con il titolo "Va la Rosina bella", è una canzone popolare italiana di origine anonima, risalente probabilmente ai primi anni del XX secolo. Il brano fa parte del vasto repertorio della musica tradizionale italiana, con una struttura narrativa tipica delle ballate popolari e un’atmosfera malinconica ma allo stesso tempo evocativa.
Una storia di attesa e speranza
Il testo della canzone racconta di un amore lontano, di una giovane donna (spesso chiamata Rosina) che attende il ritorno dell’amato. La frase "E verrà quel dì di lune" suggerisce un’attesa indefinita, legata a un tempo non ben precisato, quasi a evocare una speranza che si prolunga nel tempo.
Questa tematica è molto diffusa nelle canzoni popolari dell’epoca, dove l’amore separato dal destino, dal lavoro o dagli eventi storici era un leitmotiv comune. Il testo può essere interpretato sia come una canzone d’amore e di nostalgia, sia come un canto di speranza e fiducia nel futuro.
Una melodia dolce e ripetitiva
Musicalmente, il brano è caratterizzato da una melodia semplice e cantabile, con una struttura ripetitiva tipica delle canzoni popolari tramandate oralmente. L’andamento musicale è dolce e quasi cullante, rendendo il brano adatto a essere cantato in gruppo, nelle veglie o nei momenti di lavoro collettivo.
Diffusione e reinterpretazioni
"E verrà quel dì di lune" è stata tramandata per generazioni, subendo variazioni nel testo e nella melodia a seconda della regione in cui veniva cantata. Il titolo "Va la Rosina bella" è una delle tante varianti con cui il brano è stato conosciuto, a dimostrazione della sua forte radice popolare e della trasmissione orale che ne ha permesso la diffusione.
Ancora oggi, il brano viene eseguito da cori folk e gruppi di musica tradizionale, mantenendo vivo il fascino delle antiche ballate popolari italiane. La sua dolcezza e la sua semplicità melodica ne fanno un esempio perfetto di come la musica possa trasmettere emozioni senza tempo.
1900? - E verrà quel dì di lune (Va la Rosina bella) [di anonimo]
"La Domenica andando alla Messa" – Tra tradizione e ironia popolare
"La Domenica andando alla Messa" è una celebre canzone popolare italiana di origine anonima, risalente ai primi anni del XX secolo (probabilmente attorno al 1900). Il brano appartiene al repertorio della musica tradizionale italiana, caratterizzandosi per il suo tono vivace e scherzoso, con un testo che alterna riferimenti alla vita quotidiana e alla dimensione religiosa in chiave ironica.
Una canzone tra sacro e profano
Il testo della canzone narra la storia di una giovane donna che, andando alla messa domenicale, si ritrova coinvolta in una vicenda dal sapore amoroso. L’apparente semplicità del racconto nasconde una vena ironica tipica delle canzoni popolari, dove il confine tra devozione religiosa e sentimenti terreni si fa sottile, generando una narrazione divertente e maliziosa.
Le prime strofe pongono l'accento sulla routine domenicale della protagonista, che si reca in chiesa con intento devoto, salvo poi essere distratta da un incontro inatteso, spesso interpretato come un gioco di seduzione o un’amabile tentazione.
Struttura e melodia accattivante
Musicalmente, "La Domenica andando alla Messa" presenta una melodia semplice e orecchiabile, facile da memorizzare e cantare in coro. La sua struttura ripetitiva e il ritornello coinvolgente hanno contribuito alla sua diffusione e longevità nel repertorio della musica popolare.
Le versioni tramandate variano nel testo e nella melodia, segno della trasmissione orale tipica delle canzoni popolari, che si modificano a seconda della regione e del contesto in cui vengono cantate.
Diffusione e reinterpretazioni
"La Domenica andando alla Messa" è stata interpretata da numerosi artisti e cori folkloristici, entrando nel repertorio delle canzoni tradizionali italiane. Ancora oggi, viene eseguita in feste popolari e rievocazioni storiche, mantenendo vivo lo spirito spensierato e il carattere ironico con cui è nata.
Grazie alla sua leggerezza e immediatezza, la canzone continua a essere un esempio perfetto di come la musica popolare riesca a mescolare tradizione, umorismo e uno sguardo autentico sulla vita quotidiana di un tempo.
1900? - La Domenica andando alla Messa [di anonimo]
"Come porti i capelli bella bionda" – La canzone popolare tra ironia e leggenda
"Come porti i capelli bella bionda" è una delle canzoni popolari italiane più celebri, il cui testo e la melodia sono stati tramandati oralmente per decenni. Sebbene le sue origini siano incerte, si ritiene che risalga ai primi anni del XX secolo, probabilmente attorno al 1900. Il brano si distingue per il suo tono leggero e ironico, con un testo semplice ma estremamente orecchiabile, capace di restare impresso nella memoria collettiva.
Un motivo popolare senza tempo
Questa canzone è un tipico esempio di musica popolare anonima, nata tra la gente e diffusa attraverso il canto orale, senza un autore ufficialmente riconosciuto. Il brano ha attraversato generazioni e regioni, diventando parte integrante del repertorio folk italiano.
Il testo, strutturato come un simpatico scambio tra un corteggiatore e una ragazza, gioca sulla domanda ricorrente:
"Come porti i capelli bella bionda?", con la risposta che cambia a seconda della versione cantata.
Il significato e la struttura
Pur essendo una canzone leggera e scherzosa, "Come porti i capelli bella bionda" riflette un modo di corteggiare tipico dell’epoca, in cui i riferimenti all'aspetto fisico (come i capelli e il modo di acconciarli) diventavano pretesti per una galanteria giocosa.
Le strofe, semplici e ripetitive, contribuiscono al carattere vivace e coinvolgente, rendendo il brano ideale per essere eseguito in contesti di festa e convivialità.
Il successo e le reinterpretazioni
Grazie alla sua melodia accattivante, la canzone è stata reinterpretata innumerevoli volte, adattandosi ai cambiamenti culturali e musicali del tempo. È stata eseguita da cori popolari, bande musicali e artisti di vario genere, entrando nel repertorio di molti interpreti della musica folkloristica italiana.
Ancora oggi, "Come porti i capelli bella bionda" continua a essere cantata con spirito allegro e spensierato, mantenendo vivo un frammento della tradizione musicale popolare italiana.
1900? - Come porti i capelli bella bionda [di anonimo]
"Porta Romana bella" – Il canto popolare della Milano di un tempo
"Porta Romana bella" è una canzone popolare milanese di autore anonimo, risalente probabilmente ai primi decenni del XX secolo. Il brano è strettamente legato alla città di Milano e alla sua cultura popolare, in particolare alla zona di Porta Romana, una delle storiche porte di accesso alla città.
Una canzone di lavoro e fatica
Il testo della canzone rievoca la dura vita delle giovani operaie, spesso impiegate nelle fabbriche e nei laboratori artigianali di Milano. Porta Romana, ai primi del Novecento, era un quartiere popolare dove risiedevano molti lavoratori, e la canzone descrive il passaggio delle ragazze dirette al lavoro, con un tono che mescola amarezza e leggerezza.
Le giovani vengono ritratte mentre attraversano la città nelle prime ore del mattino, affrontando la fatica del lavoro con una forza d’animo tipica della classe operaia milanese. Il ritornello "Porta Romana bella, Porta Romana", con la sua ripetizione quasi ipnotica, diventa un simbolo di un quotidiano fatto di sacrificio e speranza.
Una melodia semplice ma incisiva
Musicalmente, il brano è costruito su una melodia orecchiabile e cantabile, tipica dei canti popolari. Il ritmo è sostenuto, quasi da marcia, accompagnato spesso da un battito regolare che ricorda il passo delle lavoratrici in cammino.
Questo stile musicale lo rendeva perfetto per essere cantato in coro, diventando così un canto di aggregazione e di condivisione delle difficoltà quotidiane.
Un simbolo della Milano operaia
"Porta Romana bella" è diventata nel tempo un vero e proprio inno della tradizione popolare milanese, grazie anche alle numerose reinterpretazioni da parte di artisti folk e cantautori lombardi. Il brano è stato spesso eseguito in contesti di festa e raduni popolari, mantenendo vivo il ricordo della Milano di un tempo, fatta di lavoro, sacrificio e senso di comunità.
Ancora oggi, la canzone viene cantata in diverse versioni, a testimonianza del suo profondo legame con l'identità milanese e con la memoria storica della città.
"I' te vurria vasa’" – Il sogno d’amore nella canzone napoletana
Nel 1900, il compositore Eduardo Di Capua e il poeta Vincenzo Russo diedero vita a "I' te vurria vasa’", una delle più belle e struggenti canzoni napoletane di tutti i tempi. Con la sua melodia dolce e il testo intriso di malinconia e passione, questa canzone è diventata un vero e proprio capolavoro della musica napoletana, espressione del romanticismo e del desiderio inappagato.
Il contesto e gli autori
Eduardo Di Capua è noto per aver composto alcune delle più celebri melodie napoletane, tra cui "’O sole mio", mentre Vincenzo Russo, poeta sensibile e malinconico, ha scritto versi profondi e intensi. I due artisti collaborarono più volte, ma fu proprio con "I' te vurria vasa’" che riuscirono a creare una perfetta fusione tra melodia e poesia.
La canzone fu scritta in un periodo in cui la musica napoletana si stava affermando come genere universale, capace di emozionare e parlare d’amore con una sensibilità unica.
Il testo: un amore impossibile
Il protagonista della canzone esprime il suo struggente desiderio di baciare la persona amata, ma non può farlo: un ostacolo, forse sociale o personale, lo separa da lei. Nei versi si alternano immagini sognanti e dolorose: il mare, il vento, la notte, la luna… tutti complici silenziosi di un amore che resta solo un desiderio inespresso.
Uno dei versi più celebri recita:
"I' te vurria vasa’, ma 'o core nun me d’ 'o permettere…"
("Vorrei baciarti, ma il cuore non me lo permette…")
Questa frase racchiude tutto il tormento di un sentimento profondo ma irrealizzabile, un tema che ha reso questa canzone un classico senza tempo.
Il successo e l’eredità
"I' te vurria vasa’" è stata interpretata da alcuni dei più grandi artisti della musica napoletana e internazionale. Enrico Caruso, Roberto Murolo, Luciano Pavarotti, Massimo Ranieri e molti altri hanno dato voce a questa melodia struggente, facendola conoscere e amare in tutto il mondo.
Ancora oggi, la canzone viene eseguita nei concerti di musica napoletana e nei momenti più emozionanti delle serate dedicate alla tradizione partenopea. Con il suo carico di passione e nostalgia, continua a commuovere chiunque la ascolti, ricordando che l’amore, anche quando impossibile, può essere eterno attraverso la musica.
1900 - I' te vurria vasa' [di Eduardo Di Capua \ Vincenzo Russo]
Kurt Weill 1900 Kurt Weill (1900-1950) – Il Compositore tra Avanguardia e Teatro Musicale Kurt Weill è stato un compositore tedesco naturalizzato statunitense, noto per la sua fusione di musica classica, jazz e teatro. Ha lavorato a stretto contatto con il drammaturgo Bertolt Brecht, creando capolavori come "L'opera da tre soldi" (Die Dreigroschenoper) e "Ascesa e caduta della città di Mahagonny". Dopo l’ascesa del nazismo, emigrò negli Stati Uniti, dove si reinventò come compositore di musical di Broadway. Kurt Weill nacque il 2 marzo 1900 a Dessau, in Germania, in una famiglia ebrea. Fin da giovane mostrò talento musicale e studiò al Conservatorio di Berlino, dove fu allievo di Ferruccio Busoni, noto per il suo approccio innovativo alla composizione. Negli anni '20 si immerse nella vivace scena culturale berlinese, avvicinandosi alla musica d'avanguardia e al movimento dell’Espressionismo tedesco. Il suo stile unì elementi della musica colta con il jazz, il cabaret e la musica popolare, creando un linguaggio sonoro unico e immediato. Nel 1927 iniziò la sua celebre collaborazione con Bertolt Brecht, con cui condivideva un interesse per il teatro politico e satirico.
Le opere principali
1. L’opera da tre soldi (1928) – Il Successo Mondiale
Basata sull’"Opera del mendicante" di John Gay (1728), questa satira feroce sulla società capitalista berlinese fu un successo straordinario.
Brani celebri:
"Mack the Knife" (Die Moritat von Mackie Messer) – Una delle canzoni più famose del XX secolo, interpretata da artisti come Louis Armstrong e Frank Sinatra.
"Pirate Jenny" – Un intenso monologo musicale cantato da una serva sognante di vendetta.
"Ballata della vivandiera" – Un altro esempio dello stile diretto e teatrale di Weill.
Caratteristiche:
Uso di melodie orecchiabili e ritmi sincopati ispirati al jazz.
Strumentazione essenziale e orchestrazione con strumenti da banda e cabaret.
Testi provocatori e satirici che mettono in luce le ipocrisie sociali.
Impatto: L’opera da tre soldi è ancora oggi una delle opere musicali più rappresentate e influenti.
2. Ascesa e caduta della città di Mahagonny (1930) – La Critica al Capitalismo
Un'opera teatrale in cui Weill e Brecht dipingono una città immaginaria fondata sul denaro e sul piacere sfrenato, destinata inevitabilmente al collasso.
Brani celebri:
"Alabama Song" – Resa famosa dai The Doors e David Bowie.
"Oh, moon of Alabama" – Un lamento decadente sulla perdita dell’innocenza.
Caratteristiche:
Forte satira sociale e politica.
Uso innovativo della musica popolare e del jazz per un'opera lirica.
Struttura episodica che riflette il teatro epico di Brecht.
L’opera fu censurata dai nazisti nel 1933 e Weill fu costretto a lasciare la Germania.
3. Settimana di tre soldi (1933) – La Fuga dalla Germania
Dopo la presa del potere da parte di Hitler, Weill, ebreo e apertamente critico del regime, si rifugiò prima a Parigi e poi negli Stati Uniti. Qui cambiò completamente il suo stile, adattandosi al mondo di Broadway.
Tra i suoi primi lavori in America ci fu "Knickerbocker Holiday" (1938), con il celebre brano "September Song", diventato un classico della musica americana.
4. I Musical di Broadway
Negli Stati Uniti Weill si reinventò come compositore di musical, collaborando con scrittori come Maxwell Anderson e Ogden Nash.
Opere principali:
"Lady in the Dark" (1941) – Musical psicologico con elementi di jazz e swing.
"Street Scene" (1947) – Un'opera americana con influenze da Gershwin e dal teatro europeo.
"Lost in the Stars" (1949) – Musical drammatico sulla segregazione razziale, basato su Cry, the Beloved Country.
Weill in America: La sua musica divenne più melodica e cinematografica, pur mantenendo l’attenzione ai temi sociali e politici.
Stile musicale e innovazioni
Elementi distintivi del suo stile:
Influenza del jazz e del cabaret – Uso di ritmi sincopati e armonie blues.
Semplicità melodica – Creazione di melodie memorabili e dirette.
Musica come strumento politico – Composizioni pensate per trasmettere messaggi sociali.
Uso della voce parlata – Tecnica che mescola canto e recitazione.
Weill riuscì a fondere teatro epico e musica popolare, creando un linguaggio accessibile ma di grande impatto emotivo.
Declino e morte
Kurt Weill morì prematuramente il 3 aprile 1950 a New York, per un attacco di cuore. Aveva solo 50 anni, ma aveva lasciato un'eredità musicale straordinaria.
La sua musica continua a essere eseguita in tutto il mondo, sia nelle sale da concerto che nei teatri, con canzoni che hanno attraversato generazioni e generi musicali.
Eredità e influenza
Weill è considerato uno dei pionieri del teatro musicale moderno e un innovatore che ha influenzato artisti come Leonard Bernstein, Stephen Sondheim e Tom Waits.
Il suo impatto sulla musica popolare:
"Mack the Knife" è stato interpretato da centinaia di artisti, da Ella Fitzgerald a Robbie Williams.
"Alabama Song" è diventata un inno rock grazie ai The Doors.
Il suo stile ha ispirato i musical impegnati di Broadway, come Cabaret e Chicago.
Curiosità
Era sposato con Lotte Lenya, una delle interpreti più celebri delle sue opere. Nei suoi ultimi anni fu attivo nei circoli di Hollywood e Broadway, ma rimase sempre un outsider. La sua musica fu spesso censurata dai nazisti per il suo contenuto sovversivo. Kurt Weill ha saputo unire arte, politica e spettacolo, creando una musica che rimane attuale e vibrante ancora oggi.
1929 - Moritat vom Mackie-Messer [di Kurt Weill \ Bertolt Brecht]
"'O Sole Mio" è una delle canzoni più famose e iconiche della musica napoletana, scritta nel 1898 da Eduardo Di Capua su musica di Alfredo Mazzucchi e con il testo di Giovanni Capurro. Questo brano è diventato un simbolo della tradizione musicale napoletana e ha conquistato popolarità a livello mondiale.
La canzone esprime un amore romantico e appassionato per il sole, usando l'immagine del sole come metafora per descrivere la bellezza e la luminosità dell'amore. Il testo esprime sentimenti di gioia, passione e ammirazione per la bellezza naturale.
"'O Sole Mio" è stata reinterpretata in molte lingue e stili musicali diversi ed è stata incisa da numerosi artisti di fama internazionale. La sua melodia orecchiabile e il suo testo emotivo hanno contribuito a renderla una delle canzoni più riconoscibili e amate nel panorama della musica popolare italiana, diventando un classico intramontabile e una delle rappresentazioni più emblematiche della tradizione musicale partenopea.
1898 - 'O sole mio [di Eduardo Di Capua - Alfredo Mazzucchi \ Giovanni Capurro]
George Gershwin è stato un celebre compositore e pianista statunitense del XX secolo, nato il 26 settembre 1898 a Brooklyn, New York, e deceduto il 11 luglio 1937 a Hollywood, California. È noto per aver creato una vasta gamma di composizioni che abbracciano musica classica, jazz e spettacoli musicali. Tra le sue opere più celebri c'è "Rhapsody in Blue", una composizione che ha fuso brillantemente elementi di jazz con la struttura e il linguaggio della musica classica. Questa composizione è diventata un'icona della musica americana e ha contribuito a definire lo stile musicale unico di Gershwin. Altri lavori notevoli di Gershwin includono "An American in Paris", un'opera sinfonica che evoca l'atmosfera e il ritmo della città di Parigi, e la sua collaborazione con suo fratello Ira Gershwin in diversi musical di successo di Broadway, come "Funny Face", "Girl Crazy" e "Porgy and Bess". "Porgy and Bess" è probabilmente il suo lavoro più conosciuto nell'ambito dell'opera e racconta la storia della comunità afroamericana nella Carolina del Sud. Quest'opera è particolarmente famosa per brani come "Summertime" e "I Got Plenty o' Nuttin'", che sono diventati parte del repertorio standard del jazz e della musica popolare. La musica di George Gershwin è caratterizzata da una fusione unica di stili musicali, che hanno contribuito a creare un suono americano distintivo. La sua abilità nel mescolare elementi di jazz, musica popolare e classica lo ha reso uno dei compositori più influenti e ammirati del suo tempo. La sua eredità musicale continua ad essere celebrata e la sua musica rimane popolare e influente fino ai giorni nostri, continuando ad essere eseguita, registrata e apprezzata in tutto il mondo.
"Addio a Lugano" (o "Addio Lugano bella") – Il canto dell’esilio anarchico
"Addio a Lugano", conosciuta anche come "Addio Lugano bella", è una canzone scritta nel 1895 dall’anarchico e poeta Pietro Gori. Questo canto è diventato un simbolo della lotta anarchica e della repressione politica di fine Ottocento.
Contesto storico: l’esilio degli anarchici
Alla fine del XIX secolo, i governi europei temevano l’ascesa del movimento anarchico, che si batteva contro il capitalismo, lo Stato e le ingiustizie sociali. In Svizzera, Lugano era un punto di riferimento per gli anarchici italiani in fuga dalla repressione del Regno d’Italia. Tuttavia, il 15 maggio 1895, il governo svizzero, sotto la pressione delle autorità italiane, espulse un gruppo di anarchici, tra cui lo stesso Pietro Gori.
Costretto a lasciare la città, Gori scrisse questa canzone come un addio amaro e malinconico, denunciando l’ingiustizia della repressione e celebrando la lotta per la libertà.
Il testo e il suo significato
La canzone si apre con un saluto doloroso a Lugano, una città che aveva dato rifugio agli esiliati ma che, per compiacere i potenti, li aveva poi scacciati. Gori usa toni nostalgici e accusa i governanti di servire gli interessi dei potenti, mentre gli anarchici, pur perseguitati, mantengono viva la loro fede nella giustizia e nella libertà.
Il testo è un misto di dolore e fierezza: i perseguitati non si arrendono, ma portano con sé il fuoco della ribellione ovunque vadano. L’ultimo verso sottolinea la speranza in un mondo nuovo, in cui gli oppressi si solleveranno e abbatteranno le ingiustizie.
Diffusione e impatto culturale
"Addio a Lugano" è diventata un inno della resistenza anarchica e operaia, tramandata tra generazioni di militanti. Il canto si diffuse rapidamente nei circoli anarchici e socialisti in Italia e in Europa, accompagnando scioperi, manifestazioni e momenti di lotta politica.
Nel Novecento, è stata reinterpretata da molti artisti della musica popolare, tra cui Giovanna Daffini, Ivan Della Mea e il Nuovo Canzoniere Italiano, mantenendo viva la memoria della repressione politica e della lotta per un mondo più giusto.
Ancora oggi, "Addio a Lugano" resta un simbolo della resistenza contro le oppressioni, un canto che unisce memoria storica e impegno politico, ricordando le sofferenze di chi ha combattuto per un ideale di libertà.
1895 - Addio a Lugano (Addio Lugano bella) [di anonimo \ Pietro Gori] - Pietro Gori (1894)